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Alta montagna e cuore, implicazioni terapeutiche: i risultati dello studio HIGHCARE Andes


Oltre i 2500 metri di quota, la bassa pressione barometrica provoca una diminuzione della concentrazione d’ossigeno nell’aria alveolare. Gli effetti dell’ipossia ipobarica sul sistema cardiovascolare non costituiscono un problema di scarsa rilevanza, se si considera che ogni anno oltre 100 milioni di persone salgono sulle Alpi, mentre nel mondo, Europa esclusa, oltre 36 milioni di persone vivono o frequentano località in alta quota.
Secondo una statistica condotta in Colorado, inoltre, il 13% dei visitatori di questa nazione è iperteso, e si espone a condizioni ambientali che potrebbero modificare i valori pressori.
L’ipossia determina una vasocostrizione a livello polmonare con conseguente ipertensione, ma produce anche una vasodilatazione sistemica, che dovrebbe causare una riduzione della pressione arteriosa. In condizioni d’ipossia, però, si verifica una stimolazione chemocettiva, che produce un’attivazione simpatica e, di conseguenza, una vasocostrizione riflessa. Quest’evento può controbilanciare l’effetto vasodilatatore diretto dell’ipossia.
Fino a pochi anni fa l’esiguità e la scarsa attendibilità dei dati disponibili non avevano permesso di accertare il reale effetto dell’alta quota sulla pressione arteriosa.

Progetto HIGHCARE

Una risposta a queste problematiche è stata fornita dal progetto HIGHCARE ( HIGH altitude CArdiovascular REsearch ), nell’ambito del quale sono stati realizzati diversi studi, sulle Alpi ( tra il 2003 e il 2010 ), sull’Everest ( 2008 ) e sulle Ande ( 2012 ).

La sperimentazione alpina, condotta nella Capanna Margherita, a 4559 metri sul Monte Rosa, ha confermato il rialzo pressorio indotto dall’ipossia durante il giorno, e ha riscontrato una riduzione della caduta notturna dei valori pressori, oltre a una netta tachicardia, eventi che suggeriscono un’attivazione simpatica.

Lo studio condotto sull’Himalaya, realizzato in condizioni più difficili e a una quota più elevata ( 5400 m ), ha valutato ancora più accuratamente le modificazioni della pressione in alta quota. Il protocollo, infatti, prevedeva il monitoraggio della pressione a livello del mare, a 3400 m, a 5400 m per due volte, dopo 1-2 giorni e dopo due settimane di adattamento, e, infine, al ritorno al livello del mare.
Questo studio ha evidenziato, forse per la prima volta in modo sistematico, come in alta montagna la pressione non soltanto salga, ma lo faccia in misura proporzionale alla quota. L’aumento non è risultato trascurabile ( incremento medio sistolico 11 mmHg ), ed è stato mantenuto anche dopo due settimane di permanenza.

Studio HIGHCARE Andes

A seguito di quanto riscontrato negli studi precedenti sui volontari sani, con lo studio HIGHCARE Andes si è cercato di comprendere gli effetti dell’alta quota su soggetti ipertesi, per valutare anche le eventuali modifiche della terapia.
Lo studio, condotto in collaborazione con l’Università di Lima, ha valutato separatamente sia soggetti che vivono a livello del mare, a Lima ( lowlanders ), che rappresentano il paziente tipico che occasionalmente sale in alta quota, sia persone che vivono ad altitudini elevate ( highlanders ), non trattate in questa pubblicazione.

Lo studio sui lowlanders si era proposto di valutare gli effetti prodotti sulla pressione da un trasferimento in quota, e come una terapia di combinazione a base di Telmisartan e Nifedipina GITS potesse contrastare l’aumento dei valori pressori.
I dati sono stati raccolti a Lima e a Huancajo, una cittadina delle Ande, posta a 3300 m di altezza. Sono stati selezionati 100 ipertesi lievi, che potessero assumere un placebo e trasferirsi in montagna in condizioni di sicurezza, non-trattati o con la possibilità di sospendere la propria terapia.

Dopo una valutazione basale, i soggetti sono stati randomizzati al placebo o alla terapia di associazione.
Dopo sei settimane, i pazienti sono stati nuovamente valutati per verificare l’efficacia del trattamento a livello del mare e, in seguito, sono stati trasferiti a gruppetti in alta quota.
La misura della pressione, il monitoraggio nelle 24 ore, la pulse wave velocity, l’ecocardiogramma, la polisonnografia cardiorespiratoria e un test da sforzo cardiopolmonare erano le principali rilevazioni eseguite sui pazienti.
La misura tradizionale della pressione ha confermato l’innalzamento dei valori dovuto al trasferimento in quota, anche se di entità moderata ( 7 mmHg ). La misura tradizionale, infatti, eseguita a riposo, non rispecchia cosa succede realmente nella vita quotidiana, specie se i pazienti sono esposti a un’ipossia e un’eventuale attività fisica rende più incisivo l’effetto di una ridotta disponibilità d’ossigeno.

La terapia si è rivelata efficace, contenendo nei soggetti trattati il rialzo pressorio.
Più impressionanti i risultati del monitoraggio, che hanno evidenziato per il gruppo placebo un incremento di 11 mmHg della pressione sistolica, un aumento importante con possibili impatti clinici.
Anche in questa rilevazione è stata confermata l’efficacia della terapia attiva, che ha mantenuto la pressione entro i limiti superiori di norma. Un andamento analogo è stato riscontrato per la pressione diastolica.

Tra il gruppo controllo e quello in terapia non è emersa alcuna differenza in termini di frequenza cardiaca: ad alta quota in entrambi i gruppi si è manifestata l’attesa tachicardia riflessa.
L’andamento della pressione arteriosa nelle ore del giorno e della notte si è rivelato estremamente simile, con un analogo innalzamento durante la permanenza in alta quota, e un‘analoga efficacia della terapia.
Va sottolineato, però, che durante la notte l’innalzamento della pressione è risultato più ripido e consistente, a conferma di una serie di modificazioni che insorgono in alta quota proprio nelle ore notturne, legate anche alla difficoltà respiratoria.

I test hanno evidenziato anche un aumento della pressione polmonare, risultato più contenuto nei pazienti in trattamento attivo, probabilmente per un effetto specifico della Nifedipina, farmaco solitamente utilizzato ad altitudini elevate come misura preventiva per l’edema polmonare.

Durante il test da sforzo cardiopolmonare, per il gruppo placebo si è riscontrato, rispetto al dato sul livello del mare, un aumento della pressione in alta quota apparentemente non eccessivo. Va ricordato, però, che l’esercizio eseguito in montagna aveva un’intensità inferiore del 13% e che, quindi, il risultato del test in quota va interpretato come un’iperreattività pressoria.
Nel gruppo in terapia con Telmisartan e Nifedipina GITS si è riscontrato un effetto protettivo dei farmaci sul rialzo pressorio, anche durante l’esercizio fisico: questo dato rappresenta un aspetto cruciale per il trattamento dei soggetti ipertesi che desiderano andare in montagna e svolgere un’attività fisica.

L’aumento della pressione sistolica in alta quota al termine dell’esercizio, nel gruppo placebo, e la prevenzione di tale aumento da parte della terapia sono stati confermati anche dal Six Minute Walking Test, che ha evidenziato anche una forte riduzione della saturazione d’ossigeno, almeno parzialmente controllata dal trattamento attivo.
Nel gruppo trattato si è osservata anche una saturazione d’ossigeno nelle 24 ore più elevata che nel gruppo controllo.
L’effetto protettivo della terapia si è manifestato anche sulla pressione arteriosa media e su quella sistolica centrale, entrambe risultate significativamente inferiori, sia a livello del mare, sia in alta quota, rispetto al gruppo controllo.

Lo studio ha riscontrato anche un aumento dell’Augmentation Index, mentre la Pulse Wave Velocity non è variata con l’esposizione acuta all’alta quota, pur rimanendo inferiore nel gruppo trattato.
In entrambi i gruppi, inoltre, si è rilevata una riduzione del SEVR ( SubEndocardial Viability Ratio ).
La polisonnografia ha evidenziato un aumento delle apnee centrali e ostruttive, di minore entità nel gruppo in trattamento attivo per la minore sottrazione d’ossigeno.

L’analisi degli effetti collaterali non ha rivelato differenze significative tra i due gruppi.

Questo è, dunque, il primo studio ad aver evidenziato come in pazienti ipertesi, la pressione salga significativamente nelle 24 ore, dopo un’esposizione in acuto in montagna. Una terapia combinata, comprendente Nifedipina GITS e Telmisartan, riduce significativamente questo aumento di pressione, con un ottimo profilo di tollerabilità.
Questa terapia, inoltre, migliora le proprietà elastiche delle arterie, limitando la variazione della forma d’onda, correlata all’aumento della pressione centrale e alla riduzione del SEVR.
L’utilizzo della terapia combinata, infine, riduce l’iperreattività pressoria osservata sotto sforzo, svolgendo un ruolo protettivo per il paziente. ( Xagena2015 )

Fonte: Relazione di Gianfranco Parati dell’Università di Milano - Bicocca al Congresso Cuore, cervello, rene e diabete, Gubbio ( PG ) 2015

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